Arriviamo ad Amsterdam dopo una breve tappa a Maastricht che, come mi era stato riferito, è una graziosa cittadina con il centro storico medievale, impreziosito da alcune chiese dei primi secoli dello scorso millennio, in cui passeggiamo piacevolmente.
Maastricht è anche la città in cui è stato siglato il Trattato sull’Unione Europea che ha disegnato l’Europa in cui viviamo e deve essere stata scelta non a caso visto che si trova al confine tra tre degli Stati fondatori dell’UE essendo vicinissima sia al Belgio che alla Germania (Giacomo ed io lo constatiamo durante la corsa mattutina quando, dopo pochi chilometri, un cartello ci segnala che stiamo superando il confine tra Olanda e Belgio).
L’arrivo al campeggio in cui abbiamo deciso di sostare riserva un’insolita sorpresa: stiamo facendo il check in (che qui è automatizzato: si fa con un computer all’ingresso) quando vediamo dirigersi verso di noi uno strano insetto – sembrerebbe – grosso, che, superata la sbarra di ingresso, si avvicina al camper.
Ci avviciniamo per osservarlo meglio e ci accorgiamo che incredibilmente si tratta di un granchio o forse di un gambero (o di uno scorpione?).
Ci sistemiamo in piazzola perplessi, un po’ più disorientati del solito.
Il camping comunque è bellissimo: ricavato in un parco cittadino, molto curato con piazzole intervallate da prato all’inglese e separate da siepi.
Ero stato ad Amsterdam una sola volta nel 1997 insieme a Luca per vedere la semifinale di Champions League tra Ajax e Juventus nella nuovissima Amsterdam Arena. Era stata una trasferta memorabile in auto attraverso l’Europa. Prima di Schengen, prima dell’Euro.
Avevamo vent’anni, poco più. Della città avevamo visto ben poco, il pomeriggio prima della partita.
Per me dunque è stato come venirci la prima volta e, devo dire, adoro questa città.
Amsterdam sembra New York e non è un caso visto che furono proprio gli Olandesi a fondare quella che originariamente si chiamava Nuova Amsterdam.
L’abbiamo percorsa in lungo e in largo raggiungendo il centro storico in bicicletta, come fanno gli Amsterdammers, servendoci delle piste ciclabili che ovunque costeggiano le strade (quando non le sostituiscono del tutto) e spesso i corsi d’acqua, presenza costante di questo paesaggio urbano.
Adoro i palazzi secenteschi come quelli più recenti affacciati lungo i canali nel centro.
Ci sono quartieri in cui sembra di trovarsi a Brooklyn (se non fosse per le house boat) altri in cui potresti pensare di essere a Chelsea.
Ma questa è una città che mi ha conquistato già dalla periferia.
Sarà questo modello di sostenibilità ante litteram – ci si muove in bicicletta, perché è possibile farlo: la città è costruita per la mobilità su due ruote prima che per il traffico di automobili.
Sarà la multietnicità di questa città nella quale sono (sembrano) integrate persone di ogni razza e condizione.
Sarà l’architettura razionale e moderna dei sobborghi in cui coesistono costruzioni futuristiche con interessanti e innovative soluzioni di edilizia abitativa popolare.
Sarà, forse, anche il senso di libertà e quella felicità puerile che dà percorrerla in bicicletta, infilandosi in ogni angolo dell’abitato, anche quelli inaccessibili alle automobili.
È una città anglofona, piena di giovani – tutti sono generalmente molto cordiali e sorridenti – tollerante: la sensazione è che qui chiunque possa essere ed esprimersi per quello che è, che sia un buon posto per progettare il futuro.
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