La prima tappa di questo viaggio è a Monaco di Baviera dove decidiamo di fermarci per cena e pernottare.
Arriviamo alle 17,00. Ci sistemiamo in un tranquillo ed economico parcheggio (solo 1,50 euro per 24 ore) non distante dallo stadio del Bayern Monaco e a due passi dalla stazione della metropolitana e raggiungiamo il centro quando tutto ormai sta chiudendo.
Non sono mai stato a Monaco e sono curioso di vederla finalmente seppure soltanto di corsa, visto che non avremo il tempo di visitarla.
Siamo relativamente vicini a casa eppure, a pochi chilometri da Montebelluna, è già tutto molto diverso: colpisce ad esempio, prendendo la metropolitana, il silenzio nelle carrozze e nelle banchine nelle quali la gente aspetta l’arrivo dei treni. Parliamo sottovoce anche noi adattandoci istintivamente al costume del luogo.
Noto che tutti indossano mascherine ffp2, rigorosamente, coprendo naso e bocca. Mascherine impeccabili, sembrano tutte nuove e identiche (per lo più bianche). Ma solo in metropolitana: all’aperto quasi nessuno ce l’ha.
A quanto pare è imposto l’uso di mascherine ffp2 visto che non ci permettono di entrare all’Ufficio Informazioni Turistiche perché le nostre sono quelle chirurgiche e all’ingresso un addetto ci dice (sbrigativamente, parlando solo in tedesco) che con quelle non possiamo entrare, che volendo possiamo acquistare quelle ffp2 nella farmacia lì accanto ma che dobbiamo sbrigarci perché alle 18,00 l’ufficio chiude.
Mi precipito in farmacia per acquistare le stesse mascherine che hanno tutti come d’altra parte avevo deciso di fare non appena sceso dalla metropolitana. La farmacista ci mette un po’ per accorgersi della mia presenza perciò quando ritorniamo all’Ufficio Informazioni Turistiche sono ormai le 18,01 e inesorabilmente la porta è chiusa e non riusciamo ad avere nemmeno la mappa della città.
Iniziamo male ma, a ben vedere, è nient’altro che un diverso modo di vivere con il quale ci stiamo confrontando.
Ripenso anche a quanto accaduto poco prima mentre cercavamo di capire quale tipo di biglietto acquistare per spostarci in metropolitana: se fossimo stati a Roma, avremmo raccolto in poco tempo l’attenzione di qualche locale il quale si sarebbe prodigato nel consigliarci la soluzione migliore. Qui non è successo: i passanti si alternavano nella macchinetta affianco alla nostra senza minimamente interessarsi del nostro (animato) dibattere circa la differenza tra biglietto giornaliero e biglietto strisciato e la convenienza di una soluzione rispetto all’altra.
Ceniamo nella birreria più famosa della città conquistando a fatica uno degli ultimi tavoli liberi. È tutto molto chiassoso e tedesco: le cameriere prosperose che si aggirano per i tavoli brandendo enormi pritzel a forma di cuore, i loro colleghi trafelati, carichi di boccali di birra da un litro ciascuno… qua e là seduti ai tavoli signori attempati in abito tirolese.
Buona cena a base di prelibatezze locali e un piccolo incidente diplomatico alla fine quando il cameriere ci porta anziché gli strudel che avevamo ordinato un altro dolce: glielo facciamo notare, lui si inalbera dicendo che gli avevamo chiesto quello e non gli strudel (evidentemente ha capito male) e se ne va sbottando qualcosa sugli Italiani. Mi alzo e lo raggiungo chiedendogli spiegazioni, lamentandomi del fatto che non doveva permettersi uscite di quel genere e la cosa finisce lì con le sue scuse di circostanza.
Siamo vicini e già molto lontani: questo piccolo incidente in un certo senso non ha fatto che rimarcarlo.
Affacciarsi fuori dall’uscio di casa, d’altra parte, significa mettersi in gioco e accettare anche situazioni di questo tipo.
Ma resta - lo scrivo dopo un anno e mezzo opprimente - un’esigenza imprescindibile.
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