Anche queste vacanze volgono al termine. Siamo a Cefalù, ultima tappa del tour prima del rientro. Abbiamo alle spalle giorni molto intensi. Gli ultimi sono stati anche faticosi per il caldo e perché li abbiamo dedicati interamente alla visita delle città e dei monumenti.
Siamo arrivati a Trapani venerdì. Il progetto era di visitare la città e i dintorni (Erice, Segesta) e raggiungere San Vito Lo Capo e Scopello lunedì per evitare l'affollamento del fine settimana.
Alla fine abbiamo invece deciso di rinunciare per quest'anno alla Riserva dello Zingaro: sull'isola è arrivata una quantità enorme di turisti.
Sabato abbiamo fatto una crociera alle isole Egadi: abbiamo visitato Favignana e Levanzo, fatto il bagno nelle acque turchesi dell'arcipelago, pranzato in barca. È stato bello anche se il battello era strapieno, c'era molta confusione, Eleonora ha avuto un attacco di mal di testa. Dopo l'incontro ravvicinato con la medusa a Marina di Ragusa, Ele è più insicura in acqua, meno entusiasta di avventurarsi al largo per lo snorkeling. Giacomo invece non ha perso l'entusiasmo per le immersioni: a Levanzo, in particolare, era estasiato dalla bellezza dei fondali e dei pesci.
Trapani, specialmente in periferia, è sporca e un po' fatiscente. Si potrebbe con poco migliorare le cose: lunedì ho corso lungo la ciclabile che da Nubia porta in città tra sterpaglie, immondizia e carcasse di animali...
Il centro storico è grazioso anche se, non me ne vogliano i Trapanesi, non può competere con quello delle altre città siciliane che abbiamo visitato.
Di Trapani ho molto amato le saline con i caratteristici mulini a vento risalenti al quattrocento che disegnano paesaggi molto suggestivi. Abbiamo visitato il Museo del Sale con una guida simpaticissima (il nipote del saliniere) che ha saputo raccontare la vita in salina in modo scherzoso e al tempo stesso molto interessante.
Snoopy, poverino, in salina ha avuto una specie di collasso: il caldo lo sta mettendo a dura prova in questi giorni. Si è accasciato a terra con le zampine anteriori come paralizzate, rigido, con lo sguardo fisso nel vuoto. Ho temuto che morisse, invece per fortuna con qualche carezza e un po' di acqua si è ripreso.
Domenica, di ritorno dalla gita ad Erice, ci siamo imbattuti per caso nei festeggiamenti di Santo Alberto, patrono di Trapani, portato in processione in un clima di esaltazione popolare: la chiesa della SS. Annunziata era stracolma di fedeli chiassosi, c'era la banda e, nel momento della collocazione della statua argentea sul trasportino, urla e applausi.
Da Trapani abbiamo quindi raggiunto Palermo dopo aver fatto tappa a Segesta.
Palermo. Ci siamo arrivati dalla A29, da Capaci. Cercavo il guard rail rosso nel tratto in cui è stato barbaramente assasinato Falcone. Non c'è più. Ora c'è una stele commemorativa. Ho fermato il camper e siamo rimasti in silenzio, anche i bambini, attoniti a osservare quel punto, col cuore in gola. Avrei voluto lasciare qualcosa di mio ma non avevo nulla se non un "grazie" enorme, soffocato dall'emozione. Probabilmente è giusto così: l'eroismo di questi uomini e di queste donne è incommensurabile. Te ne vai con gli occhi umidi e una vertigine di ingiustizia.
Palermo è araba e normanna, greca e latina, medievale e barocca. Palermo è una città scioccante, dal sapore intenso, violento; è un pugno in pancia e un luogo di estasi, tra i più raffinati e degradati che abbia visto. Si arriva al Palazzo Reale camminando su marciapiedi lerci di feci, costeggiando palazzi fatiscenti eppure magnifici che raccontano di un passato aristocratico.
Lo sfarzo dei palazzi nobiliari di corso Vittorio Emanuele e di via Maqueda, delle chiese barocche o arabo-normanne, l'oro della Cappella Palatina stride con la povertà delle persone che vivono nei vicoli adiacenti e che popolano i quartieri del centro storico dai nomi affascinanti (Kalsa, Vucciria, Albergheria, Ballarò).
Spesso sulle pareti di un palazzo capita di trovare una lapide commemorativa di uno degli efferati delitti di mafia che hanno insaguinato dal secondo dopoguerra le strade di questa città. A Monreale, a pochi metri dalla cattedrale, c'è la lapide che ricorda l'assasinio del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, collaboratore di Borsellino, freddato il 3 maggio 1980, a soli trentuno anni, mentre con la figlia di quattro attendeva di assistere in piazza allo spettacolo pirotecnico. Dalla lastra di marmo penzola un mazzo di fiori rinsecchiti: mi ha sconfortato, l'ho trovato ingiusto e oltraggioso.
Spesso sulle pareti di un palazzo capita di trovare una lapide commemorativa di uno degli efferati delitti di mafia che hanno insaguinato dal secondo dopoguerra le strade di questa città. A Monreale, a pochi metri dalla cattedrale, c'è la lapide che ricorda l'assasinio del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, collaboratore di Borsellino, freddato il 3 maggio 1980, a soli trentuno anni, mentre con la figlia di quattro attendeva di assistere in piazza allo spettacolo pirotecnico. Dalla lastra di marmo penzola un mazzo di fiori rinsecchiti: mi ha sconfortato, l'ho trovato ingiusto e oltraggioso.
Abbiamo lasciato Palermo da via D'Amelio. Dopo un ultimo grazie.
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